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Teichos – Centro di culto ortodosso e servizi

Progetto di centro di culto ortodosso e servizi, Otranto – Tesi di Laurea

vito distante _ design
tesi di laurea _ status
Otranto _ luogo
– _ cliente
2011 _ anno
umberto daina _ rendering

«I villaggi e le città vi son costruiti dove a tufi, dove a carpo, dove a pietra leccese, e pochi nella parte settentrionale anche a calcare compatto. Le abitazioni han di usitato forme regolari, nettezza, giardino annesso, quasi tutte e dentro e fuora dipinte o imbiancate, com’è costume dei Mori, dei Spagnoli che vi adoprano la calce di Moron, o degli antichi, tanto teneri della mondezza dei loro casamenti». (Giacomo Arditi, Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, Stabilimento Tipografico “Scipione Ammirato”, Lecce, 1879-1885).

L’intervento, in contrapposizione all’intorno frastagliato e dai margini incerti, segue un suo proprio ordine interno caratterizzato dalla chiara leggibilità planimetrica data dall’alternanza di pieni e vuoti.
Il progetto segue la direzione delle due strade lungo le quali si affaccia e asseconda, in maniera astratta, la curva naturale dell’insenatura costiera. In questo modo, ponendosi tra la città moderna ed il mare, assolve anche al ruolo di water-front ordinando, ricucendo e riunificando visivamente, dal mare, un brano urbano altrimenti eccessivamente frammentato.
Uno dei principii che hanno guidato la redazione del progetto è stato quello di occupare quanta meno spiaggia possibile: per questo motivo la direzione principale dell’intervento è quella parallela alle due strade esistenti. L’unica eccezione è rappresentata dalla chiesa che è sul mare ed ha un orientamento diverso, collegata alla terraferma solo da un passaggio coperto, come una nave attraccata al molo.
L’accesso principale all’area avviene da via Riviera degli Haethei che, nell’ultimo tratto lungomare, è stata modificata tenendola più adiacente agli edifici esistenti per poter liberare l’accesso pedonale e migliorarne la fruizione.
Giungendo da Sud, sulla destra si apre una grande piazza triangolare, parzialmente piantumata, affacciata sul mare: questa segna l’accesso all’intervento dalla città e prosegue idealmente verso la spiaggia con un piano inclinato, una sorta di platea rivolta verso il mare a Nord. Dalla piazza, adiacente al Faro della Punta che segnala l’ingresso al porto, si scorge in direzione Sud-Est la Torre del Serpe, antica torre costiera d’avvistamento, simbolo della città di Otranto.
La prospettiva d’ingresso, guidata dalle file di lecci, si conclude su una grande trave che cela la vista del mare a Nord dalla quota della città, funge da portale alla fine della discesa ed unifica il fronte rivolto verso la costa. Il “sistema” piazza inclinata-trave, quindi, disvela lentamente, assecondando la discesa, la visione della spiaggia in maniera tale da coinvolgere gradualmente tutti i sensi, e non solo immediatamente la vista, nella scoperta del paesaggio retrostante.
La grande superficie bianca della trave, alta 4 metri e lunga circa 20, può fungere anche da schermo per proiezioni.
Questa parte dell’intervento, più legata al mare e alla spiaggia e alla loro
fruizione, è la più permeabile, pur continuando a far parte di un insieme unitario ben definito. In testata il progetto presenta un edificio destinato a lido-bar con loggia rivolta verso il mare e cabine alla quota della spiaggia, affacciate su un ampio patio.
L’alterità del progetto rispetto all’esistente è espressa anche in alzato: gli edifici sono separati dalla strada da un muro alto 4 metri, profondo altrettanto e quasi completamente cieco. Le uniche aperture corrispondono a dei punti di flesso che guidano chi percorre l’area verso gli ingressi. Le due più grandi segnano l’ingresso alla zona più propriamente culturale, all’incrocio delle due strade e snodo dell’intervento, e alla piazza dalla quale si accede poi al percorso verso la chiesa, a Nord-Ovest. Il lato più lungo è interrotto dalla loggia che segna l’ingresso della scuola materna.
Questa “linea tridimensionale” ha, lungo tutto il suo sviluppo, una panca di via per concedere un momento di ristoro all’ombra dei lecci che fiancheggiano la strada.
Il muro, così come separa dall’esterno, collega ed unisce gli edifici che racchiude diventando spazio di distribuzione. Il suo rivestimento è previsto di pietra leccese, in contrasto cromatico con l’intonaco bianco degli edifici.
Il fronte mare segue lo stesso criterio compositivo del “muro abitato” del fronte strada pur “perdendo” la terza dimensione: è una linea
orizzontale che unifica le varie zone del progetto e funge da quinta per chi giunge dal mare.
Se il settore ad Est è più compatto ed è interrotto all’estremità dall’esile telaio metallico della loggia del lido-bar e dallo sbocco sulla spiaggia della piazza-platea, quello ad Ovest è caratterizzato, nella parte superiore, dal ritmo pilastri-trave che segna il percorso pergolato davanti all’asilo e alla foresteria.
La prevalenza della direzione orizzontale deriva dalla volontà di far percepire contenute le altezze degli edifici: questa volontà si è concretizzata sia attraverso l’inserimento dell’elemento muro (su questo fronte alto 7,5 metri) sia ponendo gli edifici più alti ad una quota inferiore rispetto a quella della città.
La linea orizzontale ha come “naturale” contrappunto la figura del campanile, alto 40 metri, che verso il mare volge il suo lato più stretto, con un’unica apertura, a ricordare le torri di avvistamento che punteggiano sistematica- mente la costa adriatica della Provincia di Lecce.
A Nord-Ovest il muro, collegamento anche concettuale dell’intero progetto, si piega di 90° verso il mare e chiude l’intervento, spostando l’attenzione sull’edificio principale, la chiesa.
Con questo netto cambio di direzione il muro, che qui diventa loggia coperta e pergolato con ampie viste sul mare, racchiude su tre lati uno spazio pubblico calibrato sia rispetto alle funzioni che vi si affacciano sia rispetto alle dimensioni generali dell’intervento.
Questa piazza è dominata a Nord dalla mole del campanile che emerge
dallo spessore del collegamento coperto, per 40 metri, in corrispondenza del cambio di quota. Il lato Sud presenta la sola apertura per l’accesso alla sala polivalente e, dietro i muri di cinta di quest’ultima e della canonica, si possono vedere le fronde degli alberi che ombreggiano i rispettivi giardini.
In un’area libera tra gli edifici esistenti è stato ricavato un parcheggio sotterraneo a due piani (per 206 vetture) la cui copertura è destinata a verde pubblico.
Il progetto si sviluppa prevalentemente alla quota della città e da questo livello si accede alle varie funzioni.
Gli ingressi non sono mai rivolti direttamente verso l’esistente per conferire al fronte, e all’intero progetto, un senso di compattezza e di unità: ciò è accentuato, in pianta, dal muro spesso 4 metri che cinge gli edifici.
Sono leggere inclinazioni della cortina muraria, o sue più decise flessioni, che invitano all’interno del progetto. A Oriente, al contrario, è l’assenza del muro, giustificata dallo spazio pubblico di accesso “privilegiato” al complesso che prosegue nella piazza-platea.
Avvicinandosi all’intervento da Sud, da via Riviera degli Haethei, la strada lungomare, dopo aver superato una zona fittamente piantumata che separa la piazza d’accesso dalla via che conduce al faro dall’abitazione del fari- sta, si raggiunge il lido-bar.
È un edificio a prima vista compatto e organizzato su due livelli (a quota + 4,50 e a quota + 1,00). Un arretramento di parte del fronte Sud segna l’ingresso al bar mentre, sempre a quota città, un taglio sul fronte Ovest lungo la discesa collega direttamente ad un corridoio e alla loggia.
Il livello principale è diviso funzionalmente in tre parti: il bar verso la piazza, il vuoto dell’affaccio sul giardino alla quota inferiore al centro, la loggia aperta verso il mare. Il bar e la loggia sono collegati da un passaggio scoperto che fiancheggia il lato lungo ad Ovest. Al termine di questo passaggio, una scala collega il livello inferiore dove si trovano le cabine del lido, rivolte verso l’interno, e i relativi servizi.
Proseguendo il percorso verso Ovest, dopo aver superato la piazza-platea, l’angolo cavo del muro indica l’ingresso al padiglione per esposizioni temporanee. Questo spazio espositivo, pensato per accogliere a rotazione le opere di giovani artisti non soltanto salentini, si sviluppa su tre livelli fuori terra ed occupa, a chiasmo, metà padiglione e metà muro.
Si nota subito, in questo caso, come il muro espliciti, per tutto il progetto, la sua funzione di spazio di distribuzione tra gli edifici mantenendo sempre la dicotomia – che è tratto caratteristico – di elemento di separazione/elemento di collegamento.
Al suo interno sono stati ricava- ti la hall d’ingresso, la reception e un bagno. Dalla hall una rampa collega la quota + 4,50 alla prima sala espositiva a quota + 6,80. La rampa si sviluppa su due lati della grande sala a doppia altezza, dominata dalla presenza di quattro grandi pilastri cilindrici, del museo archeologico, in una sorta di continuum visivo tra arte del passato e arte del presente.
Dalla sala espositiva, tramite una scalinata, si raggiunge l’altra sala a quota + 8,50. Questa sala è caratterizzata dalla grande vetrata apribile a libro che la proietta all’esterno in una profonda loggia dalla quale si gode la vista del mare.
Costeggiando via Antonio Sforza si viene quasi inconsciamente guidati verso una piazza, dall’interruzione e dal cambio di direzione della cortina muraria in pietra leccese.
Su questo spazio, diviso longitudinalmente da una fila di lecci, si affaccia il museo archeologico. Il fronte è cieco, caratterizzato solo da un taglio orizzontale alla quota della piazza che, staccandolo da terra, rende leggero il volume percepito.
Nel punto di flesso del muro, invece, è ricavato l’ingresso e, nel suo spessore, la hall, la reception, i servizi, mentre, una scatola di vetro affacciata su una sala a doppia altezza, racchiude gli uffici a completare le funzioni a quota + 4,50.
Da una rampa addossata longitudinalmente al fronte Ovest, quello sulla piazza d’accesso, si raggiunge la prima sala espositiva a quota + 6,80 che occupa metà edificio. Questa sala è illuminata indirettamente da una parete di vetro acidato che la separa dal cannon-lumière che dà luce alla sala inferiore.
Scendendo a quota +1,00 ci si trova nella sala a doppia altezza illuminata sia zenitalmente, sia attraverso una grande apertura strombata sul fronte Sud (l’unica vera apertura visibile dalla città), sia tramite il fronte vetrato ad Est che la collega con l’esterno. Anche questa sala, così come quella dell’altro padiglione, è caratterizzata da quattro grandi pilastri cilindrici.
Attraverso il muro, o meglio attraverso la sua proiezione, a questo livello si raggiunge il padiglione Est, il secondo del museo archeologico, che ospita una sala espositiva, una sala audio/video, la caffetteria, il bookshop e la grande sala espositiva a doppia altezza. Questa è illuminata da quattro grandi lucernari e, la parete Est quasi completamente vetrata, si affaccia su uno specchio d’acqua che riflette la luce esterna all’interno della sala.
Lo spazio esterno fra i due padiglioni, più raccolto, funge da estensione della caffetteria ed una vasca lo separa da uno spazio più grande che può ospitare anche delle installazioni di arte contemporanea o delle performances.
I materiali utilizzati per gli esterni sono soltanto tre: intonaco bianco a calce, vetro e pietra leccese. Questo per conferire anche agli alzati dei singoli edifici un carattere comune di unità, riconoscibilità e alterità rispetto all’esistente che è proprio dell’intero intervento.
La ridotta scelta materica impone al progetto un confronto con la storia: il centro storico di Otranto è tutto intonacato e non sono rari, all’interno di astratte superfici di un bianco accecante, inserti di pietra leccese quali architravi, davanzali, stemmi o colonne angolari.
Inoltre, l’altezza di 3,50 metri, pari a 14 corsi dei conci da 25 cm usati ancora oggi, delle limitate superfici di pietra leccese, corrisponde all’incirca alla quota dalla quale si iniziava ad impostare la volta.
Il museo archeologico può essere dedicato alla storia della città di Otranto dalle origini fino al 1480-’81 anno della conquista e della dominazione turca. Al suo interno possono essere conservati i reperti trovati durante le campagne di scavo condotte tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 dal professor Francesco D’Andria dell’Università di Lecce, dal professore David Witehouse e dal dottor Demetrios Michaelides della British School at Rome.
I ritrovamenti coprono un periodo temporale molto ampio (a partire dai Messapi, i primi abitanti del Salento) e sono formati da terrecotte preistoriche, vasellame greco e romano, lapidi funerarie romane, ceramiche bizantine e medievali.La piazza, nel cui lato Ovest il muro diventa loggia, permette anche di scendere a quota + 1,00 m. Lo sguardo di chi percorre la scalinata viene guidato verso l’apertura verso il mare posta in corrispondenza dell’angolo ottuso formato dai due muri del fronte mare.
Da questa quota si accede alla biblioteca, un edificio a due piani con un mezzanino.
L’ingresso è posto sul lato lungo dell’edificio e, nella fascia che idealmente collega i due fronti Sud-Est e Nord-Ovest e corrispondente alla testata, si trovano in sequenza la hall, la reception e la caffetteria, collegata all’esterno sia con un giardino più piccolo, sia con il giardino più grande che può fungere da sala lettura all’aperto e caratterizzato dal prato inclinato che cerca di limitare la sensazione di trovarsi in un luogo ad un livello inferiore chiuso da muri alti.
Il resto del piano è occupato dagli scaffali e dalla sala lettura nella parte a doppia altezza illuminata zenitalmente. Nell’impronta del muro sono stati ricavati i servizi e, al di sotto della scala esterna che collega le due quote del progetto, un deposito.
A quota + 4,50, all’interno del muro, è la sala per le postazioni multimediali.
Il livello a quota + 6,80 occupa solo la metà a Nord dell’edificio e ospita la sala periodici, mentre la testata verso il mare, divisa in due, è destinata ad uffici e alla sezione bambini. Qui una gradinata/belvedere permette la vista del mare.
Il fronte Nord è scandito da una teoria di finestre strette e alte, alternate a pilastri, che illuminano la sala periodici, mentre il fronte verso il mare, basato sul concetto di pieno/vuoto, opacità/trasparenza, affianca alla metà completamente rivestita di pietra leccese la metà completamente vetrata.
Sul fronte d’ingresso, interamente intonacato, si innesta, per i consueti 3,50 metri d’altezza, il muro rivestito di di pietra leccese che arriva a lambire la porta d’ingresso e che chiude il giardino più piccolo.
I tre edifici della zona più propria- mente culturale sono gli unici che con la loro altezza di 12 metri, seppur in maniera limitata, mostrano le loro bianche superfici al di sopra del muro in pietra leccese.
La compattezza della cortina muraria sul lato lungo del progetto, nella seconda parte di via Antonio Sforza, è interrotta per un breve tratto da una loggia che si affaccia sul giardino della biblioteca e dà accesso all’asilo.
Il complesso della scuola materna è diviso in cinque parti regolari secondo l’alternanza di vuoti e di pieni. I padiglioni rettangolari, che occupano tutta la profondità dell’area di progetto sono contenuti, ad Ovest e ad Est, da due segni che, seppur concettualmente identici sono differenti nella loro consistenza volumetrica e materica.
Ad Ovest è il muro di pietra leccese che funge da collegamento tra i due padiglioni; ad Est una fascia pergolata scandita da pilastri sul fronte mare, per permettere ai bambini di goderne la vista.
Il primo padiglione, quello d’ingresso, è diviso in tre zone funzionali, due di carattere comune, poste alle estremità, ed una di carattere più di servizio.
Dopo aver superato un corridoio d’ingresso affacciato sul primo giardino, con un’alberatura fitta, si giunge in una hall, che ha uno “sfogo” all’esterno, collegata alla mensa rivolta verso il mare da uno spazio di distribuzione per gli insegnanti, l’infermeria, la dispensa e il porzionamento pasti.
Il secondo padiglione, invece, ospita tre aule, ognuna con i suoi servizi igienici per i bambini, una stanza per il riposo e uno spazio coperto per il gioco che, come la mensa, è affacciato verso il mare. Le tre aule si aprono a Sud, attraverso grandi vetrate, nel giardino: sulla loro area di pertinenza esterna pavimentata, un leggero telaio metallico permette di stendere dei teli
per schermare la forte insolazione; citazione e omaggio all’asilo Sant’Elia di Giuseppe Terragni.
Nell’ultimo giardino sono previsti degli orti didattici per ri-avvicinare i bambini ai cicli delle stagioni e della natura ed anche per renderli più consapevoli delle loro scelte e delle loro abitudini alimentari.
Il fronte dell’asilo verso il mare è una libera interpretazione dell’asilo pro- gettato da Figini e Pollini a Ivrea, per Olivetti, nel 1939-’41, e del progetto per la casa di un architetto di Adalberto Libera.
Un flesso nel muro, all’estremità Nord-Est dell’intervento, guida chi lo costeggia verso uno spazio pubblico, racchiuso su tre lati da logge con generose viste verso il mare, che funge da snodo per la zona della sala polivalente e della foresteria a Sud e la zona di culto a Nord-Est, a quota +1,00, collegata alla terra ferma da un passaggio coperto.
Il campanile con la sua mole e per la sua vicinanza alla costa, rende omaggio alle torri di avvistamento. La sua terminazione, rivestita di pietra di Trani bianca, rimanda in maniera astratta alla mano di Cristo benedicente che, secondo l’iconografia, con le dita raccolte forma il monogramma ICXC.Dopo aver sceso le scale e percorso il corridoio coperto, un ponte tra la vita terrena e la vita spirituale, si giunge nel sagrato, al cui centro svetta un albero di rovo che, come la pavimentazione del suo alloggiamento, rimanda all’iconografia della Madre di Dio del Roveto Ardente.
L’impianto del complesso religioso, pur nella sua rigidità data dall’orientamento verso Est, è animato da un movimento centrifugo dovuto allo slittamento dei corpi del battistero e del nartece e da come questi insistono sul sagrato e dialogano fra loro e con il percorso coperto che segue un altro orientamento e irrompe nel medesimo spazio accentuando la sensazione di movimento.
Il battistero è separato dalla chiesa e il fonte è nella parte protesa verso il mare; ciò risponde a logiche liturgiche e simboliche: chi non è battezzato non può entrare in chiesa (e quindi il battistero è separato dall’aula) ed il fonte, essendo il battesimo per immersione totale, sembra una prosecuzione del mare anche per la finestra a filo dell’acqua rivolta ad Oriente.
Il suo fronte è caratterizzato da un pannello bronzeo sul quale è inciso un passo dalla lettera di San Paolo ai Galati (3, 26-29) cantato come inno durante la celebrazione del sacramento del battesimo
secondo le prescrizioni del Typikòn:“οσοι εισ Χριστον εβαπτισθητε, Χριστον εηεασασε. Αλληλουια” (“Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Alleluia”). Due sagome di
pesci rimandano al simbolo archetipico del Cristo e dell’unione in Lui nel battesimo.L’accesso alla chiesa è dal nartece che si protende sul mare. In questo spazio, molto frequentato dai fedeli ortodossi, vi sono delle vasche riempite di sabbia per poter accendere candele e fermarsi per qualche momento di raccoglimento. Un taglio orizzontale angolare schermato con vetri acidati diffonde la morbida luce delle candele. All’esterno una lastra di bronzo accanto alle porte d’ingresso accoglie il fedele con l’iscrizione, tratta dal salmo 5, versetto 8, “εισελεύσομαι εις τόν οικον σου Κύριε, προσκυνήσω πρός ναόν τόν άγιόν σου, εν φόβω σου”, che significa “entrerò nella tua casa o Signore, mi prostrerò con timore nel tuo santo tempio”.La chiesa è lunga 31 metri, pari a 100 piedi bizantini (come la chiesa del Cristo Pantocratore di Costantinopoli), ed è divisa in tre navate da due setti appesi formati da una maglia metallica dorata: le dimensioni della navata centrale e l’altezza delle due laterali e l’altezza della “scatola d’oro” sono sottomultipli della lunghezza complessiva (più precisamente un quarto ed un mezzo).Al termine delle navate tre volte leccesi a spigolo, a campo aperto (senza la chiave di volta), illuminano dall’alto la zona antistante l’iconostasi. La volta centrale, racchiusa in un doppio cubo, è rivestita di lastre metalliche color oro. Il rivestimento e il sistema voltato rimandano sia alla tradizione costruttiva locale sia alle cupole delle chiese bizantine e ortodosse, ricche di mosaici, che ampliano lo spazio introducendo la direzione verticale.Secondo Pavel Evdokìmov: «Il quadrato o il cubo rappresenta l’immutabilità incrollabile, la stabilità del disegno realizzato, e al di dentro si opera il dinamismo circolare delle preghiere e dei riti. Lo sviluppo dello spazio liturgico si fa secondo il piano verticale: è la direzione della preghiera simbolizzata dall’ascesa dell’incenso».
L’ampliamento dello spazio della navata e la sua “violenta” luminosità dirigono lo sguardo verso il cielo e il movimento verso l’alto è assecondato anche dall’iconostasi che è all’interno della “scatola d’oro” ed è più alta delle navate.
Il santuario è illuminato indirettamente dalla prothesis e dal diakonikon attraverso vetri acidati, mentre una piccola finestra quadrata di trenta centimetri di lato, accentuata all’esterno da una profonda strombatura, permette alle prime luci del mattino di rischiarare il santuario e al sacerdote di volgere lo sguardo ad Est.
All’esterno la gravità e la precisa stereometria dell’edificio sono alleggerite da quattro finestre binate sui lati lunghi. Lo spessore del muro, permette di evidenziare le aperture con sguanci e arretramenti in un gioco di chiaro-scuri che anima i fronti.Il fronte d’ingresso della chiesa è caratterizzato dalle tre porte di bronzo (rimando alla Trinità) del nartece e dallo slittamento della doppia facciata.
Nell’intercapedine tra le due superfici di cemento faccia a vista e pietra di Trani, una scala permette di raggiungere un giardino segreto per la preghiera e la meditazione.Il giardino è caratterizzato da 42 aiuole più una grande aiuola posta a ridosso dell’esterno della “scatola d’oro”, anch’esso rivestito di lastre di bronzo dorato in maniera tale da riflettere la luce del tramonto.
Il disegno del giardino rimanda a tre diverse fonti iconografiche: l’Icona della Madre di Dio Giardino Chiuso, quella della Madre di Dio Fiore Immarcescibile (a Maria sono collegati rose, garofani e tulipani) e, per le 42 aiuole, l’Icona dell’Albero di Iesse in cui sono rappresentate come rami di un albero le 42 generazioni di Gesù, a partire da Iesse. Nelle aiuole, oltre ai fiori già citati, sono piantati anche rosmarino, basilico e maggiorana, i cui olii essenziali sono utilizzati per il sacro crisma.
L’aiuola finale, a roseto, rappresenta la Vergine, mentre lo sfondo della “scatola d’oro”, rappresenta Gesù Cristo.